[08/04/20 05:54AM]
ANZIANI: ORA COSì FRAGILI, MA SEMPRE COSì NECESSARI
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  • Dall'inizio dell'epidemia sono i più a rischio, soprattutto se vivono in strutture assistenziali. Eppure coloro che hanno oltre 65 anni rappresentano un quarto della popolazione italiana. E, oggi come non mai, sono cruciali per la tenuta economica e sociale del Paese

  • Perché le case di riposo sono diventati luoghi di contagio

  • In Italia salvati senza limiti di età. In Gran Bretagna gli anziani sono più sacrificabili

    • Ogni pomeriggio alle 18 il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, che da settimane ci dà le «previsioni del virus» contabilizzando l'ecatombe di quella che doveva essere «poco più di un'influenza», ripete: l'età media dei morti è di 79 anni. I vecchi sono l'alibi della partita doppia (non ancora vinta) del Covid-19. Insomma la paura c'è, ma è un po' attenuata se fa novant'anni. Eppure su questi anziani si è costruita la capacità di resistenza dopo la precedente grande crisi: quella del 2008. Le pensioni sono state il welfare familiare che ha ammortizzato la generazione bruciata: quella dei (quasi) giovani precarizzati, dell'ascensore sociale inceppato. Gli anziani di oggi sono i nati negli anni Quaranta, sono i costruttori del miracolo italiano, di quella Società signorile di massa per dirla col titolo dell'ultimo dirompente saggio di Luca Ricolfi (La nave di Teseo). Sono stati gli accumulatori di quella ricchezza che consente ai più di campare di rendita, consumandola. La società signorile di massa è andata avanti proprio sugli anziani. Che in Italia sono un esercito attivo: quasi un quarto della società. Elsa Fornero, la ministra del governo Monti della riforma delle pensioni, ci ha raccontato che l'aspettativa di vita è tale che non si può mettere a riposo la gente a 65 anni.

      Allora se gli anziani sono una risorsa vanno tutelati, non si può dire che tanto muoiono solo i vecchi. Le cifre ci dicono che gli over 65 in Italia crescono a un ritmo di 1,8 milioni nell'ultimo decennio. Tra di loro ci sono i non autosufficienti, poco meno di 3 milioni, con politiche di assistenza quasi totalmente delegate alle famiglie, ma la platea degli altri è vastissima e conta ben 4,4 milioni di ultraottantenni che tra l'altro hanno una buona qualità di vita. E anche un patrimonio crescente: la loro «ricchezza» è più alta della media di quasi 14 punti, mentre i loro nipoti, i Millennials, arrancano con meno della metà del reddito medio. In più, questi nonni sono le prime babysitter e il primo pilastro del welfare familiare: sono 9,6 milioni quelli che si prendono cura della famiglia.

      Gli anziani, insomma, sono generatori di benessere. Come emerge dal Rapporto Censis-Trendercapital del 2019 in Italia la quota di ricchezza posseduta dagli «over 65» è passata dal 20,2 per cento al 39,9, tra il 1995 e il 2016. Gli anziani sono una ricchezza anche per gli altri anziani: sono oltre 5 milioni quelli che si assistono reciprocamente e c'è un esercito di volontari (quasi un milione e mezzo) di nonni che si impegnano nelle onlus. Di fronte a questi dati un economista come Alberto Bagnai, che è anche presidente della Commissione finanze del Senato, ha spiegato che «occorre liberarsi dagli stereotipi e considerare gli anziani una risorsa e un motore di sviluppo economico».

      E allora perché buttarli via come stracci troppo usati' Perché rinchiuderli in case di riposo dove il virus non ha lasciato scampo' Come ad Alzano Lombardo, dove è arrivato l'esercito russo a bonificare le stanze della Fondazione Martino Zanchi; come a Mediglia, nella bergamasca, dove sono morti in oltre 60; come a Cingoli nelle Marche dove la Rsa era un focolaio, come a Cossato nel Biellese. In Lombardia hanno stimato che il 15 per cento dei circa 60 mila anziani ospitati nelle residenze sanitarie sia a rischio. Tanti sono già morti e neppure li hanno messi nel conto del Covid-19, tanti se ne sono andati soffocati nelle loro case. Da soli, in silenzio.

      Perché' C'è un rifiuto degli anziani' È il virus del «presentismo», il contemplare una sorta di presente assoluto, che ne uccide anche la memoria' Luca Ricolfi spiega: «Premesso che sono anziano anch'io e insistere su questo fatto che muoiono solo i vecchi oltre a non essere vero è insopportabile, c'è sì la motivazione del presentismo, ma ce n'è un'altra ben più profonda. Questa è una società in cui non si dà più alcuna importanza né alla competenza né all'esperienza. La crisi del coronavirus lo ha evidenziato. Sto facendo i conti, come si sa mi occupo di analisi dei dati, e se ci fossimo affidati all'esperienza del virologo Andrea Crisanti, che sta salvando il Veneto, e di Guido Bertolaso anziché ad Angelo Borrelli, ci saremmo risparmiati migliaia e migliaia di morti. Alessandro Baricco ha scritto che il difetto della cultura del Novecento era basarsi sugli esperti. Ebbene, se viviamo in un contesto dove la cultura e l'esperienza non contano nulla, va da sé che gli anziani non contano nulla».

      Ci hanno spiegato dalla Germania Moritz Kuhn e Christian Bayer, economisti dell'Università di Bonn, che da noi i vecchi muoiono di più perché stanno più in famiglia. I tedeschi e i nordici i nonni li lasciano da soli e dunque meno contatti, meno contagi. Ma è una soluzione' Difficile credere che il virus venuto dalla Cina voglia distruggere un valore che in Cina scrivono sulla porta di casa: «Una famiglia che ha con sé un anziano ha il più bello degli ornamenti e il più prezioso dei tesori».

      In Italia nonostante tutto ne restiamo convinti. Anche perché gli anziani spesso sono più dinamici di molti giovani. Un esempio per tutti: Leonardo Del Vecchio, che sta per compiere 85 anni ed è l'industriale più ricco d'Italia secondo la rivista Forbes, un self-made man che continua a tenere in mano saldamente le redini dell'impero Luxottica. Ma un esempio è anche Sergio Agnoli, romano, che a 94 anni suonati continua a fare la maratona. Dopo la pensione ha cominciato a correre e non ha più smesso. Ha vinto otto campionati del mondo e 11 titoli europei tra mezzofondo, corsa campestre e mezza maratona. E se lui in età è diventato un campione di atletica, resta una dea e anche un'idea di bellezza a 93 anni Gina Lollobrigida. Secondo Humphrey Bogart, come ha ricordato Time, lei faceva sembrare Marilyn Monroe una ragazzina alla Shirley Temple. Ma la Lollo non è stata soltanto un'icona sexy e una star internazionale, è stata una grande fotografa, una scrittrice, una donna tigre che ha sempre lottato come sta facendo da anni in una causa dove è parte offesa, tanto che nel febbraio scorso ha scritto al presidente della Repubblica una lettera di fuoco: «Caro Sergio Mattarella me ne vado da questo Paese. Ho lavorato e rappresentato l'Italia nel mondo per oltre 70 anni, per avere un trattamento ignobile. Oggi a 92 anni credo di meritare un po' di tranquillità e non di essere trattata come una persona incapace, visto che non lo sono». Di certo la Lollobrigida deve aver fatto sognare anche Mario Giglie che a 92 anni e dopo un amore contrastato durato mezzo secolo ha sposato a Civitanova Marche la sua Michela Canu, 75 anni, due mesi fa. Il sentimento non dipende dall'anagrafe.

      Ma anche nella passione i nonni sembrano attivissimi. È di un anno fa la denuncia dei figli di una signora del riminese contro l'amante perché, come scriveva Il Messaggero, «nostra madre, che ha 85 anni, fa troppo sesso con un uomo suo coetaneo. Lui si approfitta di lei che ha anche seri problemi di salute». Essere vecchi è di certo un'altra cosa.

      Quelle case di riposo e di contagio


      Nelle residenze per anziani l'epidemia si è diffusa con più facilità. E da Nord a Sud si registrano decessi in decine di strutture. Non c'è stata prevenzione e l'aiuto dello Stato è insufficiente o arriva quando è troppo tardi.

      di Giorgio Sturlese Tosi

      «Se intuite che una persona ha questa sensibilità, voi stessi fatevi portatori di un segno, di una benedizione, di una piccola preghiera». È l'appello del vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, agli operatori delle case di riposo. Dove la strage degli anziani prosegue silenziosa e non fa statistica. Il 30 marzo il presidente bergamasco di Uneba, l'Unione nazionale di istituzioni e iniziative di assistenza sociale, ha denunciato «la drammatica situazione delle strutture per anziani della provincia, con 600 decessi su 6.400 posti letto, duemila dei cinquemila operatori assenti per malattia, quarantena o isolamento e dispositivi di protezione individuali per il personale non sufficienti».

      Il giorno dopo, 600 chilometri più a sud, il presidente dell'Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha annunciato il primo studio epidemiologico sulle morti connesse al coronavirus nelle case di riposo, dichiarando che: «Le residenze per anziani sono strutture importanti che devono avere la nostra attenzione per proteggere la parte più fragile della nostra popolazione». Gli ha dato man forte Mauro Palma, Garante per le persone private della libertà: «Le istituzioni sono presenti e posso inviare un messaggio di garanzia circa le cure e le attenzioni verso queste persone». Vien da pensare che Xi Jinping, insieme alle mascherine, abbia spedito in Italia anche i suoi esperti di comunicazione. Ma nemmeno il presidente della Repubblica popolare cinese avrebbe azzardato una dichiarazione così sideralmente distante dalla realtà.

      Contagi e decessi nelle Residenze assistenziali sanitarie si stanno allargando in tutto il Paese. All'anagrafe del comune di Mediglia, piccolo centro della cintura milanese, si sono accorti dell'emergenza quando hanno registrato 62 decessi tutti in via Michelangelo 9, l'indirizzo della casa di riposo «Residenza Borromea». I primi due casi di positività, su 150 anziani, risalivano al 4 marzo. Poi, in tre settimane, metà degli ospiti sono deceduti. Lo storico «Pio Albergo Trivulzio», a Milano, si articola in tre strutture per un totale di 1.341 ospiti. In una di queste, la «Frisia» di Merate, si registrano 17 morti in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Ma a Panorama la direzione ammette che «non abbiamo avuto alcun decesso accertato Covid-19 perché le strutture sociosanitarie non hanno possibilità di effettuare tampone». Nel Torinese, a Brusasco, ci sono stati nove morti nella residenza per anziani «Annunziata». I responsabili da giorni attendono che la Asl faccia i tamponi a loro e agli ospiti superstiti, mentre la Procura di Ivrea ha chiesto accertamenti ai carabinieri.

      A Monselice, Padova, su 156 ospiti 75 sono contagiati. Nel Reatino la casa di riposo «Alcin», nel comune di Contigliano, conta 70 ultraottantenni positivi al test Covid-19. «Il primo caso risale al 4 febbraio» racconta a Panorama il sindaco Paolo Lancia. «Nel frattempo, nel giro di 72 ore, gli anziani della casa di cura contagiati sono diventati 70. Più dieci operatori». Cinque ospiti sono deceduti e la Regione Lazio, d'intesa con le Asl, ha deciso di trasformare quella casa di riposo in un centro Covid-19.

      Dall'Istituto Spallanzani di Roma sono arrivati i tecnici con le tute bianche per fare i tamponi agli operatori delle strutture per anziani e alle loro famiglie. I test saranno poi estesi a tutti gli anziani delle case di riposo, mentre il comune di Contigiano è diventato una sorta di zona rossa, con limitazioni alla circolazione più stringenti rispetto a quelle previste a livello nazionale. La Procura di Napoli invece indaga sulle morti a «Villa delle Camelie» di Ercolano dove in pochi giorni il coronavirus si è portato via quattro ricoverati. Mentre, sempre a Napoli, nella struttura «Madonna dell'Arco», su 102 tamponi effettuati a operatori e degenti 52 erano positivi, dieci i deceduti. A Nuoro la casa di riposo «Bitti» è ormai un reparto Covid-19, con tutti i 14 ospiti positivi al test. Nelle altre strutture sarde si contano i primi decessi e le procura di Tempio e di Sassari hanno aperto fascicoli di indagine.

      Per arginare l'epidemia il governatore della Toscana, Enrico Rossi, a fronte di focolai scoppiati in decine di ospizi, ha disposto esami a tappeto per gli ospiti e gli operatori di Rsa, Rsd (Residenze per disabili) e strutture sociosanitarie. In Lombardia l'assessore Raffaele Cattaneo invita l'Istituto Superiore di Sanità a velocizzare le procedure di certificazione delle mascherine prodotte nella regione da industrie che, come in guerra, hanno riconvertito le produzioni. Peccato che in Italia ci siano 20 sistemi sanitari, uno per ogni Regione, e le strategie non siano armonizzate, né tanto meno comuni. A invocare uniformità è, tra tanti, l'associazione Cittadinanzattiva, il cui segretario generale, Antonio Gaudioso, in una lettera ai governatori ha chiesto «di adottare al più presto i piani straordinari regionali per il controllo del contagio da Covid-19 nelle Rsa». Perché, pare incredibile nel Paese con il record europeo di vecchiaia e con 14.465 centenari, nessuno ci ha ancora pensato.

      Considerando che nelle Rsa vivono circa 300 mila anziani, la stima dei possibili contagiati, secondo Roberto Bernabei, geriatra del Policlinico Gemelli di Roma e consulente del governo, potrebbe arrivare a tremila unità. Per molti addetti ai lavori i numeri sono superiori. Ma il nostro Servizio Sanitario Nazionale destina soltanto il 10 per cento delle risorse al ricovero in strutture residenziali (15 miliardi di euro annui), piazzandosi al 14esimo posto nella classifica dei Paesi europei. E infatti il 70 per cento delle case di riposo è gestito da privati. Che sono stati abbandonati.

      Stefano D'Errico, presidente Aira, Associazione italiana residenze per anziani, denuncia: «I nostri ospiti sono anziani di serie B. Siamo stati lasciati soli ad affrontare l'emergenza, non ci sono piani di screening e non abbiamo dispositivi di protezione. Li abbiamo chiesti a tutti, dalla Protezione civile alle Regioni, ma non ci hanno nemmeno risposto».Giulia gestisce un piccolo ricovero per anziani del Pavese, preferisce non dire quale per paura di ritorsioni: «Su cinque ospiti sono tutti positivi, più un nostro dipendente, che per giorni ha lavorato ed è tornato a casa. Io stessa in casa indosso la mascherina, per proteggere mia figlia. Se un medico è positivo, quando guarisce deve sottoporsi a due tamponi prima di riprendere servizio. Noi, no».

      Franco Massi, presidente di Uneba, lo conferma: «Non vengono fatti i tamponi, nonostante le ripetute richieste, e le autorità non hanno l'esatta dimensione del fenomeno dei contagi e delle morti nelle strutture per anziani. I protocolli delle Asl e delle Regioni sono contradditori e poco chiari. La Protezione civile aveva annunciato l'arrivo di milioni di mascherine e grembiuli di protezione, ma solo da qualche giorno abbiamo cominciato a vedere piccoli quantitativi assolutamente insufficienti. Intanto il nostro personale è al limite. Sta a contatto con gli anziani, torna a casa e continua la sua vita quotidiana. Senza nessun controllo sanitario». Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha effettuato un sondaggio tra le Rsa italiane per un totale di 18.877 residenti. Nei soli mesi di febbraio e marzo vi si sono verificati 1.845 decessi, di cui 1.130 in Lombardia, 158 in Emilia Romagna e 200 in Veneto. Peccato che senza i tamponi nessuno saprà mai quanti di questi erano affetti da coronavirus.

      Ma le cronache locali ne denunciano molti di più. Né d'altra parte l'Istituto Superiore di Sanità ha chiesto i dati dello stesso periodo dell'anno precedente per un confronto. L'86 per cento degli interpellati, però, non esita a riportare come prima criticità la mancanza di dispositivi di protezione, mentre il 27 per cento degli operatori nelle case di riposo ha riferito di avere difficoltà a isolare i residenti affetti da Covid-19.

      Il professor Bernabei non crede però che serva una massiccia campagna di tamponi per gli anziani: «Sono troppi, non ci sarebbe la possibilità. Meglio sottoporre a tampone tutto il personale delle Rsa, per isolare i possibili portatori di contagio dall'esterno». E poi servirebbero le mascherine. Il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, il 1° aprile, ha ammesso: «Abbiamo distribuito per errore ai medici di base (quelli che visitano nelle Rsa, ndr) mascherine sbagliate. Rimedieremo prontamente». Accanto a lui sedeva, in conferenza stampa, il professor Alberto Villani, componente del comitato tecnico scientifico, che ci ha tenuto a sostenere: «Io credo che ognuno di noi si senta molto contento di vivere in Italia e di essere italiano, mai come in questo periodo nessuno di noi vorrebbe stare in un altro Paese».

      Salvati senza limite di età


      Mentre in Gran Bretagna si suggerisce di non curare chi è molto avanti con gli anni, lasciando spazio a chi ha più speranze di vita, nei nostri reparti di terapia intensiva non si fanno distinzioni. I criteri per intubare o meno sono altri, come spiega un medico dell'ospedale Sacco.

      di Luca Sciortino

      Ogni idraulico inglese pronuncia il verbo «clog up» innumerevoli volte nella sua vita. Significa «intasare»: perfettamente appropriato per descrivere i problemi delle tubature, si addice molto meno alle questioni di vita o di morte. Sir David King, professore emerito all'Università di Cambridge e per anni consigliere del governo inglese, lo ha usato per suggerire che gli anziani di età superiore ai 90 anni non dovrebbero «ingombrare» i posti di terapia intensiva per i malati da Covid-19. Dato che le probabilità di sopravvivenza dei molto anziani sono scarse, ha sostenuto King, e vi è la necessità di razionare i ventilatori, meglio lasciare il posto a chi è più giovane.

      Gli hanno fatto eco sui quotidiani inglesi esperti come il consulente del sistema sanitario nazionale del Regno Unito David Oliver e ufficiali dello stesso ente di assistenza a Londra. Sebbene le organizzazioni di beneficienza abbiano stigmatizzato come immorale l'idea, i suoi sostenitori l'hanno difesa chiamando in causa lo stress delle terapia intensive e suggerendo di curare questi anziani nelle loro abitazioni.

      Quale sia stato il criterio effettivamente seguito sul campo non è dato saperlo dai diretti interessati dal momento che, sollecitati sulla questione, alcuni medici inglesi hanno risposto: «NDA signed, not able to answer» («Abbiamo firmato un accordo di riservatezza con il nostro ospedale e non possiamo rispondere»). Si possono però ricavare importanti indizi da uno studio statistico del 27 marzo condotto su 775 ammissioni alle terapie intensive dall'organizzazione indipendente inglese Icnarc: l'età media dei pazienti era 60,2 anni, 634 vivevano senza alcuna assistenza, 65 con assistenza limitata e solo un paziente non era autonomo. Conviene mettere questa situazione a confronto con quella nel nostro Paese. Il 6 marzo la Società di terapia intensiva (Siiarti) ha raccomandato di non seguire, in presenza di scarse risorse, un criterio di accesso sulla base dell'ordine di arrivo, ma di considerare «chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e, secondariamente, chi può avere più anni di vita salvata». Di fatto, sui media italiani si è cercato di esorcizzare il timore di dover scegliere. Valga su tutti la dichiarazione dell'assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera, il quale qualche giorno dopo ha dichiarato: «Non c'è una selezione su chi debba essere salvato e chi no su parametri anagrafici: molti ospedali sono sotto pressione, ma il sistema sta reggendo e li sta aiutando. E se non ci saranno posti a disposizione, lì interverrà il sistema regionale».

      Cosa poi sia accaduto sul campo i medici italiani accettano di spiegarlo. Chiara Cogliati, direttore di Medicina generale a indirizzo fisiopatologico del Sacco (dove si sta costruendo un nuovo reparto di terapia intensiva grazie a Ceetrus Italy, ImmobiliarEuropea e SalService) dice che: «Chiunque, indipendentemente dall'età, in caso di dispnea accede a un pronto soccorso dove saranno gli esami a dare indicazione di ricovero o di cura domiciliari. Fa parte del nostro sforzo curare i molto anziani, ma è importante dire che l'intubazione è un approccio invasivo e di lunga durata nei pazienti con insufficienza respiratoria da Covid-19. Pertanto, caso per caso valutiamo il rischio/beneficio di tale procedura, come sempre». La presenza di co-patologie, come la cardiopatia ischemica o le malattie croniche polmonari, è per esempio un fattore importante per l'indicazione all'intubazione dati i rischi in questi casi. «Dall'inizio di questa epidemia sono stati posti in terapia intensiva molti anziani; purtroppo vediamo che questi pazienti una volta intubati hanno un'altissima mortalità» precisa Cogliati. «Una valutazione deve essere fatta, ma l'età viene considerata solo come uno dei fattori che condizionano la prognosi».

      Veniamo ora ai dati numerici. Secondo quelli forniti dalla Regione Lombardia, l'età media in terapia intensiva è 70 anni, circa dieci più di quelli oltre Manica; il 22 per cento ha oltre 75 anni e il 37 per cento tra 65 e 75 anni. Questa differenza non può essere spiegata con il solo fatto che il Regno Unito ha una popolazione più giovane: mentre in Italia il 22,6 per cento della popolazione è sopra i 64 anni, in Inghilterra la percentuale è del 18,2 per cento. È probabile che in quel Paese vi sia stata una propensione a curare i molto anziani in casa piuttosto che in ospedale, come mostra il recente fiorire in Gran Bretagna di compagnie di cura dei malati anziani di Covid-19 a domicilio. Che poi il Regno Unito sia partito con un numero di posti letto in terapia intensiva di 6,6 su 100 mila abitanti, molto inferiore ai 12,5 italiani, può essere stato un problema aggiuntivo a sfavore di chi è molto avanti negli anni.

      Mentre in Italia ce l'hanno fatta, contrariamente a tutte le aspettive, anche persone che avevano superato non solo i 90 anni ma, com'è successo in un ospedale di Genova, persino una donna di 102 anni.




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